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La musica come cultura. L’esperienza di Marco Anzoletti, compositore trentino attivo tra Otto e Novecento. Se ne parla nella dodicesima puntata della trasmissione di Cosimo Colazzo e Daniele Torresan per Rai Radio Due

18 Giugno 2013
15:45a16:15

La musica come cultura, ricerca, analisi. L’esperienza di Marco Anzoletti, compositore trentino vissuto tra Otto e Novecento. Se ne parla nella dodicesima puntata della trasmissione condotta da Cosimo Colazzo e Daniele Torresan per Rai Radio Due. In onda martedì 18 giugno a partire dalle ore 15.45. La trasmissione, che è inserita nel palinsesto delle trasmissioni regionali per il Trentino, tratta, con la puntata di questa settimana, di un progetto di ricerca e produzione, promosso dal Conservatorio di musica di Trento, che ha avuto esito in un allestimento dell’opera “La fine di Mozart” di Marco Anzoletti, al Teatro Sociale di Trento, nel marzo 2011.

 

La trasmissione “Il cammino e l’evoluzione del Conservatorio di musica di Trento”, condotta da Cosimo Colazzo e Daniele Torresan ha trattato, in alcune puntate, di un interesse che il Conservatorio ha espresso, attraverso progetti e realizzazioni, nel campo della ricerca e della produzione musicale, che hanno riguardato il patrimonio storico del territorio.

L’indagine è avvenuta nel riferimento ad alcune figure chiave. Con la musica di Giacomo Gotifredo Ferrari e di Giancarlo Colò si è potuto entrare in contatto con la cultura musicale nel discrimine tra Sette e Ottocento. Tale cultura è stata osservata nella linea di impegno sull’opera, nei termini del gusto italiano e di scuola napoletana, attraverso il roveretano Ferrari. Inoltre è stata affrontata nella linea di impegno sulla musica strumentale da camera, di ispirazione viennese, con il rivano Colò. Se di questo si è trattato nella decima puntata della trasmissione, nell’undicesima si è passati al pieno Ottocento, che in Italia significa anche il dibattito intorno alla nazione e ai valori del Risorgimento. Si è parlato della romanza da camera, nell’idea di rinnovamento di Andrea Maffei, espressa in progetti e posizioni culturali, che hanno a che fare anche con il salotto De’ Lutti, cenacolo intellettuale attivo a Riva del Garda.

Nella dodicesima, e penultima puntata, della trasmissione, che andrà in onda martedì 18 giugno a partire dalle ore 15.45, su Rai Radio Due, si parla di Marco Anzoletti, e si passa a un periodo ulteriore, a cavallo tra Otto e Novecento.

Marco Anzoletti, trentino, studia e si perfeziona, per tre anni a Vienna. Integra, così, un’idea della musica come sviluppo di un linguaggio che deve avanzare, approfondire e conquistare nuovi valori. La sua idea di musica è nella direzione di una considerazione di essa nel più ampio alveo culturale. Deve veicolare valori di approfondimento, analisi, stare in contatto con le altre arti. E’ un’idea ispirata al mondo tedesco. Anche l’opera deve farsi interprete di un’idea per cui è spettacolo che ha a che fare con la dimensione del teatro. La musica si connette alle altre arti e trova un equilibrio con le esigenze del teatro.

Anzoletti ha scritto molte opere. Più in generale, il suo catalogo è molto vasto. Una delle sue opere è dedicata a Mozart, all’ultima fase della sua vita, quando i presagi della fine si fanno sentire e tutto si colora di un’ombra inquietante. “La fine di Mozart” è il titolo di quest’opera, scritta nel 1898, con libretto dello stesso compositore.

Sull’opera è stato realizzato dal Conservatorio di musica di Trento un progetto di ricerca e produzione musicale, che ha avuto esito nell’allestimento al Teatro Sociale di Trento, il 25 e 26 marzo 2011. Il progetto è stato coordinato da Mattia Nicolini, docente di canto, che ha prodotto un lavoro di revisione e curatela sull’opera a partire dal manoscritto.

Anzoletti intende offrire un omaggio alla figura di Mozart. Per lui è un modello di gusto musicale, e anche di considerazione della musica nella sua radice culturale. E’ genio, ma anche consapevolezza, senso alto della musica, come linguaggio che si esprime in quanto forma, architettura.

Anzoletti rappresenta Mozart nell’ombra di un crepuscolo, circondato da tensioni, da un senso di ansia, di angoscia. Così già nel Preludio, e poi nei suoi interventi.

Compare anche Beethoven, e un incontro tra i due. Scrivere un’opera su monumenti della storia musicale propone la possibilità di introdurre citazioni storiche nella trama musicale. E’ quanto fa Anzoletti, che innesta riferimenti, sia a Mozart che a Beethoven.

Inoltre l’opera possiede il senso dello svolgimento continuo, secondo articolazioni che sono regolate dal senso teatrale. La musica non può sostare, cercare le predilette regolarità. Deve adattarsi, invece, alla narrazione teatrale, stare in rapporto con essa. Il canto adatta ritmo e curve al profilo della parola. Si fa declamato. Il linguaggio musicale, pur esso, non è conciliante, e si addensa di cromatismi, differisce cadenze e simmetrie.

I personaggi sono sbozzati anche secondo certe formule fisse e convenzionali. Ad esempio, Beethoven è inquieto e titanico; quanto Mozart, invece, è fantasia, resistenza fanciullesca all’oppressione della vita. Tuttavia questi aspetti sono inseriti in un contesto e in un quadro di linguaggio che è avanzato, che presenta interessanti virate verso il modernismo.

Il Conservatorio di musica di Trento negli ultimi dieci anni ha espresso importanti valori di ricerca, nella produzione di attenzione e di impegno operativo concreto rispetto al patrimonio storico del territorio, che è stato portato a comunicazione pubblica estesa, grazie a una notevole capacità realizzativa. Sono state allestite opere, messe in campo pubblicazioni. “La fine di Mozart” si inserisce in questo quadro, divenendo un’impresa importante, anche per la difficoltà e l’entità dell’allestimento che è stato prodotto.

Uno studio di Cosimo Colazzo, sulla musica di Federico Mompou, presentato nell’ambito di Performa 2013, annuale convegno che tratta delle ricerche artistiche che, a livello internazionale, si sviluppano sull’interpretazione e la performance musicale. Quest’anno il Convegno si tiene a Porto Alegre, in Brasile, presso la Universidade Federal do Rio Grande do Sul.

30 Maggio 2013a30 Giugno 2013

Uno studio di Cosimo Colazzo, sul linguaggio compositivo di Federico Mompou e sulle considerazioni che il compositore catalano ha lasciato circa l’interpretazione pianistica della sua musica, viene presentato nel contesto di Performa 2013, importante incontro di ricerche artistiche sull’interpretazione musicale e la performance, che quest’anno si tiene in Brasile presso la Universidade Federal do Rio Grande do Sul di Porto Alegre. Il convegno di studi si svolge dal 30 maggio all’1 giugno 2013.

La musica di Federico Mompou (1893-1987) presenta alcune caratteristiche peculiari. La sua scrittura è molto ridotta, introversa. Tende a essere concisa, e i materiali sono molto semplificati. Il compositore rappresentava l’idea della necessità di un nuovo inizio, che per lui deve svolgersi nei termini di una riduzione della composizione verso elementi basici. Condivide, in questo, alcuni tratti di linguaggio che ritrova, e apprezza, in Satie. Oppure in un autore successivo, che, ricambiato, stimava molto. E cioè Francis Poulenc. Mompou rifiuta il senso dell’elaborazione che dà corpo e sviluppo all’opera. Questa, invece, deve rifuggire dall’idea che la produzione di senso si dia nell’evoluzione del racconto musicale. Il senso, la poesia, sono nell’evento, che ha valore per se stesso, con la sua risonanza.

Cosimo Colazzo, docente di Composizione al Conservatorio di musica Bonporti di Trento e membro della équipe di ricerca del CESEM (Centro de Estudos de Sociologia e Estética Musical) della Universidade Nova di Lisbona, da tempo ha portato un’attenzione di studio e di ricerca sulla musica di Mompou. Un suo studio è ora presentato nel contesto di Performa 2013 – incontri di ricerca musicale sull’interpretazione musicale e la performance, che quest’anno si tiene a Porto Alegre, in Brasile, presso la Universidade Federal do Rio Grande do Sul. Il convegno si tiene dal 30 maggio all’1 giugno.

Lo studio di Cosimo Colazzo, dal titolo “Transformar el tiempo musical. Interpretación y composición en Federico Mompou” sarà presentato venerdì 31 maggio. Tratta del linguaggio compositivo di Mompou, che viene individuato in alcuni caratteri ricorrenti. La forma, in Mompou, è concisa. I materiali sono molto semplici, ed oggetto soprattutto di ripetizione o di trasposizioni. Mompou evita la forma ampia, che si determina per sviluppi ed elaborazioni. Adotta strategie, che ritrova, peraltro, in una linea di ricerca compositiva che si apre con Debussy, per cui la ripetizione costituisce una modalità di espressione del tempo musicale, e consente di liberare l’ascolto verso la dimensione del suono e della sua risonanza.

Il tempo della composizione, della musica, del suono non ha a che vedere con l’espansione della forma, ma con la risonanza sonora. Questo concetto lo conduce a pensare diversamente anche l’interpretazione. Mompou ha lasciato alcuni scritti su questo tema, oggetto di indagine, insieme con la sua scrittura compositiva, nello studio di Colazzo. Il tempo dell’interpretazione, secondo Mompou, è fuori dalla rigida scansione metronomica, è relativamente aperto, segnato da alcuni punti di inflessione sensibili. Per Mompou vale l’immagine di un tempo che tende ad allargarsi, quasi costitutivamente.  Bisogna entrare dentro la dimensione fraseologica, per liberare ad evidenza il respiro di eventi minimi, che la logica fraseologica tende a ridurre e contenere. Bisogna che l’interprete si renda sempre più sensibile nella gestione del tempo come del suono e della risonanza.

Un’altra caratteristica della musica di Mompou è quella del tempo lento e dilatato. Come anche delle dinamiche, spesso rivolte al piano. Questo dà la dimensione di una musica introversa, che non si espande all’esterno, ma è ripiegata in se stessa. Bisogna trovare la misura di un rapporto con questa musica e lo si può ottenere se ci si rende sensibili a un tale materiale, minimo, ridotto, ma ricco di piegature interne, che vanno seguite, attraverso un senso particolare della risonanza e della gestione del tempo.

Tra i prossimi impegni internazionali di Colazzo, la presentazione di un suo studio, su musica e censura, e sul linguaggio compositivo di Galina Ustvolskaya, letto anche come paradossale confluenza e innesco tra la censura e una creatività che si produce proprio nella costante attivazione di limiti e riduzioni del linguaggio, sin quasi a uno svuotamento del soggetto. Lo studio sarà presentato il prossimo 7 giugno nell’ambito del Convegno “Researching Music Censorship”, che si tiene dal 6 all’8 giugno 2013 presso l’Università di Copenaghen.

A partire da questo collegamento il programma di Performa 2013.